Cassazione civile, sez. III, 17/01/2018,  n. 907

Il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse (ovvero non è in “re ipsa”) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire, mentre la sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata la quale, dopo aver erroneamente affermato che il danno da morte di un congiunto spettava in via presuntiva ai “parenti stretti”, aveva liquidato tale danno in maniera indiscriminata in favore di ciascuno degli otto fratelli della vittima, così erroneamente ritenendo che il danno fosse “in re ipsa” e, conseguentemente, violando i principi in materia di presunzioni e di valutazione equitativa del danno).

 

907 2018