Trib. di Civitavecchia, sent. del 15.11.2023, n. 1295

Il Tribunale di Civitavecchia, in materia di responsabilità medica, si esprime sulla risarcibilità del danno non patrimoniale cd. “da uccisione” patito iure proprio dal nipote in conseguenza del decesso del nonno.

La vicenda trae origine dal decesso del paziente per un’infezione contratta presso il nosocomio cittadino in ragione della quale i familiari della vittima intentavano una causa per accertare la responsabilità della struttura sanitaria.

I figli e i nipoti del defunto convenivano in giudizio la Azienda sanitaria deducendo che l’infezione contratta in ospedale non era stata adeguatamente trattata e, pertanto, chiedevano (i) il risarcimento iure proprio del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale nonché (ii) il risarcimento iure hereditatis del cd. danno biologico terminale e del danno catastrofale per la sofferenza patita dal congiunto nell’attesa consapevole della propria morte, (iii) in subordine, il risarcimento del danno da perdita di chance di sopravvivenza.

Dalle due consulenze tecniche, svolte nel corso del giudizio, emergevano colpevoli carenze ed errori nella fase diagnostica e terapeutica in stretta correlazione causale con il decesso del paziente.

Sulla scorta di quanto riferito dai consulenti tecnici d’ufficio, considerando che il paziente si trovava in condizioni generali discrete e non compromesse (nonostante si trattasse di paziente affetto da numerose comorbidità), qualora il probabile quadro infettivo fosse stato gestito adeguatamente, si sarebbe evitato l’exitus secondo il criterio del “più probabile che non”.

A ciò si aggiunga l’accertamento della incompletezza della cartella clinica e degli altri documenti sanitari redatti dagli operatori medici. Sul punto la sentenza in esame sottolinea, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale, che la difettosa tenuta della cartella clinica non può pregiudicare, sul piano probatorio, il paziente danneggiato, al quale è dato ricorrere a presunzioni se non sia possibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Invero, tali principi valgono non solo ai fini dell’accertamento della responsabilità medica, ma anche in relazione all’individuazione del nesso eziologico fra la condotta dei sanitari e/o della Struttura Sanitaria e le conseguenze dannose subite dal paziente. (cfr. Cass. civ. Sez. III, Ord.,15/06/2023, n. 17176; Cass. civ. Sez. III Ord., 20/11/2020, n. 26428; Cass. civ. Sez. III Sent., 21/11/2017, n. 27561; Corte d’Appello Roma Sez. VI, Sent., 27/04/2023).

In considerazione di tali profili di colpa, il Tribunale riteneva che ricorressero i presupposti e gli elementi per configurare la responsabilità contrattuale ed extra contrattuale in capo alla Azienda sanitaria convenuta, la quale è tenuta a rispondere anche delle conseguenze dannose derivate dal fatto colposo dei propri ausiliari, sia ex artt. 1223 e 1228 c.c., che ex artt. 2043 e 2049 c.c.

Passando alla individuazione e quantificazione dei danni, il Giudice ripercorreva le varie ipotesi risarcitorie configurabili esaminate dalle note sentenze della Cass. Civ. n. 28993/2019 e n. 5641/2018. Nel caso di specie, ricorrendo il nesso causale tra la condotta medica colposa e il decesso del paziente secondo il criterio del “più probabile che non”, in base alle citate statuizioni della Suprema Corte, veniva ritenuto risarcibile il solo danno biologico della vittima e il danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari.

Ritenuto, dunque, liquidabile il danno iure proprio derivante dalla perdita del rapporto parentale, il Giudice entrava nel merito della questione riguardante l’onere probatorio in capo ai congiunti della vittima e, in particolare, il rapporto parentale tra nonni e nipoti.

Il Tribunale evidenziava come, per ormai costante orientamento giurisprudenziale, tra cui Cass. civ. Sez. III Ord., 08/04/2020, n. 7743, i congiunti che propongono iure proprio una domanda di risarcimento del danno non patrimoniale c.d. “da uccisione”, devono provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale la convivenza con il de cuius non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire un elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità.

La prova dell’effettività e della consistenza della relazione parentale deve essere provata anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno.

Invero, considerando che “la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., non è limitata alla cd. “famiglia nucleare”, il rapporto tra nonni e nipoti, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, non può essere ancorato alla convivenza, escludendo automaticamente, in caso di insussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.

Dunque, può ritenersi che anche il legame parentale fra nonno e nipote consenta di presumere che il nipote subisca un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del nonno, e ciò anche in difetto di un rapporto di convivenza, fatta salva la necessità di provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno.

Il Giudice, richiamando un’ulteriore recente statuizione della Suprema Corte secondo cui la morte di una persona per fatto colpevole del terzo fa presumere, ex art 2727 c.c., che vi sia conseguita una sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a prescindere dalla convivenza tra la vittima e il superstite e che “in tal caso, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo” (Cass. civ. Sez. III Sent., 15/07/2022, n. 22397; Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 15/02/2018, n. 3767), rilevava che tale prova contraria non era stata fornita in concreto dai convenuti.

Alla luce di tali principi, benché i nipoti non appartengano al nucleo famigliare della vittima, nel caso concreto, il Giudice riteneva provata l’effettività del rapporto parentale tra il nonno ed i nipoti con i quali, peraltro, risultava convivente, alla luce delle certificazioni (stato di famiglia e di residenza comprovante la convivenza tra i predetti) e della documentazione fotografica (fotografie di famiglia) prodotta dagli attori.

In conclusione, a fronte dell’assenza di qualsivoglia allegazioni e prove, da parte dei convenuti, idonee a confutare la prova dell’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare assunta dagli attori, il Tribunale liquidava il richiesto danno da perdita del rapporto parentale, facendo riferimento alle Tabelle a punti variabili, in uso presso il Tribunale di Milano, a seguito dell’aggiornamento pubblicato nel 2022 (sebbene queste ultime, di fatto, offrano criteri utili a calcolare il danno del nonno per morte del nipote ma non viceversa).

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