Cass. Civ., sez. III, ord. del 22.04.2024, n. 10787                              

Con la pronuncia in esame, in adesione al principio di diritto enunciato con le pronunce nn. 6443/2023 e 18056/2019, la Cassazione ha precisato che il danno psichico va considerato quale autonomo danno biologico.

Nella specie, il danneggiato conveniva in giudizio la struttura sanitaria, il medico chirurgo e il medico anestetista al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’intervento di artroscopia del menisco destro, sostenendo che la lesione al nervo femorale e al tendine rotuleo destro fossero riconducibili al negligente operato dei medici convenuti.

In primo grado, il Tribunale di Bologna accoglieva le domande attoree condannando le parti convenute, in solido, al risarcimento dei danni quantificati in euro 600.000,00, a titolo di danno non patrimoniale ed euro 28.258,23 a titolo di danno patrimoniale, di cui 7.258,23 per le spese mediche sostenute e i restati 21.000,00 per le spese da sostenere in futuro.

La Corte d’Appello di Bologna, accogliendo parzialmente l’impugnazione principale della struttura sanitaria, riformava la sentenza ritenendo sussistenza la sola responsabilità del medico anestesista nella causazione dei danni patiti dal paziente e condannando la struttura ai sensi dell’art.1228 c.c.

Per l’effetto, la Corte territoriale rideterminava la somma dovuta a titolo di danno non patrimoniale, quantificandola nel diverso e minor importo complessivo di euro 95.490,00, in ragione del fatto che dalla seconda CTU espletata risultava un danno permanente del 18% e non del 60%, come precedentemente accertato.

Tra le componenti di danno biologico venivano riconosciute l’invalidità temporanea, l’invalidità permanente e la personalizzazione del danno nella misura del 25% in ragione dello “stato psicopatologico” (“disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico“) conseguente alle lesioni derivate dall’intervento chirurgico.

Il danneggiato ricorreva per la cassazione della sentenza, affidando le sorti dell’impugnazione a dieci motivi di ricorso.

Il ricorrente censurava, tra l’altro, la sentenza per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il danno psichico dovesse liquidarsi in termini di personalizzazione del danno biologico. Sul punto il danneggiato rilevava che il danno psichico deve considerarsi un’autonoma categoria di danno, potendo lo stesso discendere tanto da danni fisici quanto da danni psicopatologici e, conseguentemente, doveva essere accertato e liquidato in via autonoma.

La Suprema Corte, ritenuto fondato il motivo di gravame, richiamando il recente orientamento giurisprudenziale, ha precisato che, nel caso in cui la sofferenza soggettiva sia conseguente ad un determinato evento della vita e degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, la stessa deve considerarsi in termini di vero e proprio danno biologico e, quindi, deve essere medicalmente accertata come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cass. n. 6443/2023; Cass. n. 18056/2019).

Invero, nel caso di specie, gli Ermellini hanno ritenuto che la situazione psicologica del danneggiato, avendo trasceso il piano della sofferenza soggettiva tanto da riversarsi in una condizione psicologica di tipo patologico, andasse valutata in termini di danno alla salute autonomo, con ciò non potendo essere ricondotta nell’alveo della personalizzazione del danno biologico.

Su tale presupposto, la Cassazione ha cassato la sentenza con rinvio, indicando al giudice di secondo grado che, al fine di rideterminare il danno effettivamente patito dal paziente, il danno biologico deve essere considerato come unitario, per cui la valutazione medico-legale delle singole menomazioni, che determinano un peggioramento globale della salute, deve essere complessiva (Cass. n. 8286/1996; Cass. n. 18328/2019).

In conclusione, nel caso in cui la sofferenza soggettiva conseguente ad una lesione sia stata tale da determinare un vero e proprio danno alla salute psicofisica del paziente, secondo la Corte si è in presenza di lesioni monocrone coesistenti, cioè di lesioni plurime riguardanti organi e funzioni diverse derivate da un medesimo evento dannoso. Pertanto, il danno psichico deve essere accertato e liquidato come autonoma voce di danno. Conseguentemente, non potrà addivenirsi ad una mera sommatoria algebrica delle percentuali di invalidità previste per il singolo organo o apparato, ma si dovrà procedere ad un apprezzamento funzionale e complessivo delle singole invalidità.

Cass_10787_22_aprile_2024