Cass. Civ., Sez. III, ord. del 17.06.2024, n. 16753
Segnaliamo l’importante e recentissima decisione, ottenuta presso la Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, ordinanza n. 16753 del 17 giugno 2024 (Pres. Dr. Travaglino), con cui il Supremo Collegio ha fissato una distinzione netta tra danno da perdita di sopravvivenza e danno da perdita della vita (cd. danno da morte) indicando specifici criteri di liquidazione tanto per il danno iure hereditatis quanto per il danno iure proprio nell’ipotesi di perdita di sopravvivenza.
Il caso aveva avuto ad oggetto un’ipotesi di responsabilità medica per ritardata diagnosi di una patologia tumorale, la quale aveva determinato nella paziente la riduzione dell’aspettativa di vita, passando da 80-75% di sopravvivenza a 10 anni, a un 70% di sopravvivenza causato dal ritardo. La paziente decedeva nel corso del giudizio di appello e la Corte Genovese riteneva che dovesse essere liquidato l’intero danno per perdita del rapporto parentale.
La Cassazione ha rilevato la grave illogicità che affliggeva la decisione della Corte di merito, avendo preliminarmente cura di distinguere la natura del danno da ridotta aspettativa di sopravvivenza (per un decesso che comunque si sarebbe verificato) dal danno da perdita della vita (o cd. danno da morte). L’ordinanza contiene, poi, un’importante indicazione in merito alla quantificazione dei danni da liquidarsi in via “equitativa” nei casi di riduzione dell’aspettativa di vita, in assenza di Tabelle di riferimento. Infatti, nel presente deciusm, il Supremo Collegio, quantificando la perdita di aspettativa in due anni di sopravvivenza, ha liquidato, in via di equità, il danno iure hereditatis -patito dalla paziente – nell’importo di euro 100.000,00 (pari ad euro 50.000 per anno di sopravvivenza perduto) nonché il danno iure proprio, patito dai due figli, in euro 100.000,00, liquidato sulla base non già della perdita del rapporto parentale ma sulla base di una mera anticipata interruzione. La Corte, nel fare ciò, ha tenuto in considerazione esclusivamente il periodo di vita perduto dalla vittima senza dare conto né dell’età della paziente né dei figli ma solo del loro grado di parentela.
La Corte, inoltre, ha avuto modo di precisare che non va presa in considerazione, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale riportato, la categoria del danno catastrofale (presa in considerazione dalla sentenza impugnata), perché in primo luogo il comportamento del medico non era stato causa diretta della morte della paziente, e inoltre perché il danno catastrofale trova spazio, come espressione particolarmente intensa del danno morale, in tutte quelle ipotesi in cui alla lesione traumatica segua a breve ma apprezzabile intervallo di tempo l’evento morte, e consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata per la consapevolezza dell’approssimarsi della propria fine (Cass. n. 7923 del 2024).
Tali distinzioni poste dal Supremo Collegio nelle voci di danno e nelle loro quantificazioni indicate dovranno, sicuramente, essere tenute in debita considerazione dai Tribunali e dalle Corti di merito ai fini di una corretto inquadramento delle voci di danno e nei loro criteri liquidativi anche ai fini di una possibile Tabella che consideri questi profili.
Sentenza OscurataCondividi
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