Cass. Civ., sez. III, ord. del 25.03.2024, n. 8036
Con la sentenza in esame, la Cassazione ha dettato i criteri da seguire nella valutazione della colpa medica in caso di prestazione sanitaria resa in regime di pronto soccorso.
Nel caso di specie, il danneggiato agiva nei confronti della clinica, del medico e della compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della prestazione resa dal medico in occasione del primo accesso al pronto soccorso, ritenuta connotata da colpa professionale per avere il sanitario omesso di considerare la presenza di una patologia neurologica.
A fondamento della domanda, proposta a seguito del procedimento di ATP, l’attore deduceva di essersi recato presso il pronto soccorso lamentando dolore nella regione emitoracica sinistra con formicolio e dolore alle dita e alla mano sinistra.
Il medico di turno, effettuati tutti gli accertamenti strumentali, escludeva la presenza di disturbi cardiaci e diagnosticava una “artrosi acromion-claveare sinistra, con segni di conflitto sub acromiale ed artrosi cervicale”, dimettendo il paziente con prescrizione di antidolorifici e consiglio di recarsi dal proprio medico curante e di sottoporsi a visita ortopedica.
Tuttavia, a distanza di un paio di mesi, a fronte del peggioramento delle condizioni di salute, il danneggiato si recava nuovamente al pronto soccorso. In tale occasione, a seguito di TC cerebrale e di ulteriori esami strumentali, veniva diagnosticata una “mielopatia cervicale in ernie discali C5-C6-C7“, che richiedeva un’immediata operazione chirurgica.
L’attore lamentava che a seguito di detto intervento, nonostante la terapia riabilitativa, permanevano gravi postumi invalidanti avendo lo stesso riacquisito solo una limitata autonomia nella deabulazione e sosteneva che la grave patologia neurologica era da correlarsi eziologicamente alla condotta colposa del medico che, in occasione del primo accesso al pronto soccorso, non aveva neppure ipotizzato l’esistenza di disturbi neurologici.
In sede di ATP, la consulenza medico legale escludeva profili di responsabilità in capo al medico sul presupposto che durante il primo accesso al pronto soccorso il paziente presentava una sintomatologia aspecifica la quale, dunque, poteva indurre a ritenere sussistente una patologia di natura neurologica e che, pertanto, non vi erano ragioni per trattenere il paziente in pronto soccorso o per ricoverarlo. Il Collegio Peritale, al contrario, riteneva corretta l’indicazione data dal sanitario di recarsi dal medico curante e di sottoporsi a visita ortopedica. Inoltre, i CCTTUU davano atto del fatto che il danneggiato, in sede di operazioni peritali, riferiva che, in pronto soccorso, il medico aveva anche consigliato l’esecuzione di una RMN.
In primo grado, il Tribunale di Aosta respingeva la domanda attorea ritenendola infondata.
La sentenza veniva confermata anche dalla Corte d’Appello di Torino, la quale riteneva corretto l’approccio diagnostico terapeutico adottato dal medico convenuto, richiamando le conclusioni della CTU a fondamento della propria decisione.
In particolare, la Corte d’Appello di Torino osservava che dalla consulenza espletata in sede di ATP risultava che le condizioni cliniche del paziente, in occasione del primo accesso al pronto soccorso, non si presentavano “connotate da emergenza e urgenza“, essendo la sintomatologia del paziente “non univoca ed in un certo senso aspecifica”. Pertanto, secondo il collegio peritale, il medico aveva correttamente incentrato la propria attenzione su possibili problematiche di natura cardiologica o ortopedica, più plausibili e pertinenti rispetto all’anamnesi del paziente e concretamente indagabili nell’immediato.
La Corte territoriale concludeva evidenziando che non poteva ritenersi sussistente la responsabilità del medico in base alla mera supposizione secondo cui la patologia degenerativa neurologica poteva essere già attuale al momento del primo accesso al pronto soccorso, atteso che gli stessi consulenti avevano sottolineato che tale circostanza non era dimostrabile e che, in ogni caso, l’operato del sanitario doveva ritenersi immune da censure.
Il danneggiato affidava il proprio ricorso per Cassazione a sette motivi di gravame.
Per quanto qui di interesse, gli Ermellini, si soffermavano sulla disamina del settimo motivo di gravame con il quale il ricorrente aveva denunciato la contraddittorietà e illogicità della motivazione con particolare riferimento all’affermazione secondo cui non sussisteva la colpa professionale del sanitario in considerazione del fatto che non vi fossero sintomi suggestivi della patologia neurologica tali da imporre al medico convenuto un diverso approccio diagnostico terapeutico.
La Suprema Corte, ritenendo infondato il motivo, evidenziava come la Corte d’Appello avesse correttamente escluso che la condotta tenuta dal medico potesse integrare inadempimento della prestazione sanitaria essendo stata eseguita in regime di “emergenza od urgenza”.
Gli Ermellini, infatti, sottolineavano come la motivazione della sentenza impugnata si sviluppasse in base ad un iter argomentativo pienamente intelligibile e privo di radicali aporie, in quanto la Corte territoriale aveva dato contezza in modo coerente delle ragioni a fondamento della decisione di rigetto delle doglianze dell’appellante.
Infatti, la ratio decidendi era basata sul fatto che, nell’occasione del primo accesso al pronto soccorso, l’approccio diagnostico terapeutico scelto dal medico convenuto era da ritenersi corrispondente alle relative linee guida, attesa l’aspecificità della sintomatologia presentata dal paziente.
Le ulteriori rationes decidendi, ovvero il consiglio di effettuare una RMN e la possibilità che la patologia neurologica fosse già in atto al momento del primo accesso al pronto soccorso, non smentivano né contraddicevano la sopra enunciata ratio decidendi, attinente all’esclusione di profili di colpa nell’operato del sanitario.
I primi cinque motivi di gravame, incentrati sulla rilevanza data dalla Corte d’Appello all’asserita – ma non provata – indicazione di esecuzione di una RMN venivano analizzati congiuntamente e ritenuti inammissibili, sul presupposto che, comunque, la Corte d’Appello aveva chiarito che, anche in mancanza di tale indicazione, non poteva ritenersi sussistente una responsabilità del sanitario convenuto.
Infine, la Cassazione riteneva in parte infondato e in parte inammissibile il sesto motivo con il quale il ricorrente censurava la sentenza impugnata per non essersi conformata al principio secondo cui la medicina di urgenza/emergenza richiederebbe un approccio volto anzitutto “al rapido inquadramento diagnostico e alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento, per confermare la diagnosi, in modo da predisporre con speditezza e le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al pronto soccorso“, rilevando come la Corte territoriale avesse valutato la condotta del sanitario proprio sotto lo specifico profilo di esser stata resa come prestazione sanitaria in ambito di pronto soccorso, in armonia con le relative linee guida.
Infatti, il medico aveva operato la diagnosi e, conseguentemente, disposto le opportune indagini diagnostiche, provvedendo alle successive indicazioni terapeutiche in ragione della sintomatologia aspecifica del paziente, la quale induceva alla verifica soltanto dell’alternativa tra una patologia cardiaca e una di rilevanza ortopedica.
In definitiva, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso evidenziando che, in caso di prestazione resa in regime di pronto soccorso, non possa ritenersi sussistente la responsabilità del sanitario che, a fronte di una sintomatologia aspecifica del paziente, abbia optato per l’approccio diagnostico terapeutico più indicato rispetto alla risoluzione della patologia che ha comportato l’accesso al pronto soccorso.
Cass_8036Condividi
Ultime news
- NESSUN RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE CONTABILE NELL’AZIONE DI RIVALSA DELLA STRUTTURA SANITARIA: UNA NUOVA CONFERMA DALLA CASSAZIONE
- CARTELLA CLINICA: QUALE CONTENUTO HA VALORE FIDEFACENTE?
- IL DANNO DA C.D. LUCIDA AGONIA E LA SUA TRASMISSIBILITÀ AGLI EREDI
- E’ CONSENTITO “MUTARE” LA DOMANDA PROCESSUALE ALL’ESITO DELLE RISULTANZE DELLA CTU?
- INVALIDITÀ DELLA CLAUSOLA CLAIMS MADE PER CARENZA DI CAUSA IN CONCRETO: CONSEGUENZE DELLA DECLARATORIA DI NULLITÀ DELLA CLAUSOLA CONTRATTUALE