Cass. Civ., sez. III, ord. del 19.09.2023, n. 26851
La sentenza in oggetto trae origine da un ricorso ex art. 696-bis c.p.c. a mezzo del quale la danneggiata conveniva in giudizio una struttura sanitaria pubblica chiedendo che fosse disposta una consulenza tecnica preventiva per l’accertamento del danno patito a seguito di errore diagnostico di patologia tumorale, con conseguente omissione terapeutica.
Il Tribunale di Livorno aveva accolto la domanda della danneggiata, osservando, in particolare, che: 1) l’errore diagnostico era stato dimostrato nella CTU espletata ed era, del resto, pacifico, rilevando che l’aggravamento causato fosse apprezzabile nei termini di un danno differenziale pari al 50% rispetto allo stato anteriore, tenuto pure conto di quanto già risarcito transattivamente; 2) andava parimenti riconosciuto il danno da perdita di “chance” di sopravvivenza ovvero di migliore qualità della vita, liquidato equitativamente.
La struttura sanitaria proponeva appello avanti alla Corte di Appello di Firenze nei confronti degli eredi dell’attrice, essendo l’attrice deceduta nelle more. La Corte territoriale, dunque, confermava la sentenza di primo grado e riconosceva, altresì, l’ulteriore personalizzazione del danno biologico, atteso quanto emerso in termini di sconvolgimento della propria esistenza.
La struttura sanitaria ricorreva in Cassazione, impugnando la sentenza di appello sulla base di otto motivi, tutti strettamente connessi e ritenuti parzialmente fondati.
Nell’aderire parzialmente ai motivi di ricorso rappresentati dalla ricorrente, la Suprema Corte enuclea alcuni principi di diritto, sul presupposto che le conseguenze dannose della c.d. premorienza occorsa nelle more del giudizio vadano distinte a seconda che la morte sia indipendente o dipendente dall’errore medico. In particolare:
– riguardo alla prima ipotesi (morte indipendente dall’errore medico), qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto “iure successionis” va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile.
Tale danno va quindi liquidato in base al criterio di proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale d’invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti;
– riguardo alla seconda ipotesi (morte dipendente anche dall’errore medico), qualora la produzione dell’evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l’autore del fatto illecito risponde in toto, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, dell’evento di danno eziologicamente riconducibile alla sua condotta.
In tal caso non rileva l’eventuale efficienza concausale anche dei suddetti eventi naturali, che possono invece rilevare, sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato, non eziologicamente riferibile, cioè, a negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario (in tal senso si veda anche Cass., 21/07/2011, n. 15991, Cass., 11/11/2019, n. 28986, Cass., 23/02/2023, n. 5632, Cass., 12/05/2023, n. 13037).
Con la medesima statuizione, gli Ermellini hanno altresì avuto modo di sottolineare che Il danno da perdita anticipata della vita va comunque distinto da quello da perdita di “chance” di maggiore sopravvivenza.
Nel caso della premorienza, infatti, l’evento di danno è rappresentato non dalla possibilità di vivere più a lungo, bensì dalla perdita anticipata della vita – perdita che pure si sarebbe, in teoria, comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia -.
Nel caso della perdita di chance, invece, “la possibilità perduta costituisce l’evento di danno ossia l’incertezza sull’eventuale e ulteriore segmento temporale di cui il danneggiato avrebbe potuto godere sostanzialmente apprezzabile e non mera ipotesi o speranza – messa a sua volta in relazione causale con l’errore diagnostico e terapeutico, da valutarsi, eccezionalmente, in via strettamente equitativa e sempre che, sul piano eziologico, sia stata raggiunta una soglia di certezza rispetto a quella concreta possibilità, perché la “seria, apprezzabile e concreta possibilità eventistica”.
In definitiva, quindi, fermo il generale principio della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, in via eccezionale, il Giudice di merito potrà, anche sulla base della prova scientifica acquisita, ritenere che, “oltre al danno da premorienza, esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo”. In tal caso, sottolinea la Cassazione, tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti in misura percentuale) relativi al danno biologico e a quello da premorienza.
Cass_Civ_sez_III_ord_del_19_09_2023_n_26851Condividi
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