Cass. Civ., sez. III, ord. del 31.10.2023 n. 30293

La questione giuridica esaminata dalla Corte di Cassazione trae origine da una un infortunio sul lavoro conseguente ad un grave sinistro stradale.

Il lavoratore conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Milano, il responsabile del sinistro, il proprietario della vettura e l’assicurazione di quest’ultimo chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei gravi danni alla persona subiti in conseguenza del sinistro.

La C.T.U medico-legale, espletata in primo grado, accertava una invalidità permanente valutabile nella misura del 64-65%. Il Tribunale di Milano, accertata la sola responsabilità del conducente della vettura, quantificava oltre 500.000,00 euro di danno biologico, comprensivo del danno da invalidità permanente e del danno da invalidità temporanea. Dalla somma liquidata veniva, tuttavia, detratta una somma, pari a circa il 50% del totale, quale importo corrisposto dall’INAIL “comprensivo dell’indennità da temporanea, degli acconti e ratei già pagati e del valore capitale della rendita […] sulla base di una valutazione del danno da invalidità permanente nella misura del 40% sulla base dei criteri propri dell’Istituto“, avendo l’istituto agito in surroga nei diritti dell’attore ai sensi dell’art. 1916 c.c..

Il Tribunale liquidava inoltre tutti i danni patrimoniali.

La Corte d’appello di Milano rigettava entrambi i contrapposti gravami – interposti in via principale, dal lavoratore, in relazione alla quantificazione dei danni e, in via incidentale, dalla compagnia assicurativa e dal proprietario del veicolo che, con unico atto, si dolevano della ritenuta esclusiva responsabilità del conducente del veicolo nella causazione del sinistro – confermando la sentenza di merito.

Il danneggiato ricorreva in Cassazione sulla base di quattro motivi di impugnazione, di cui veniva accolto il secondo motivo, rigettato il primo, dichiarato inammissibile il terzo e assorbito il quarto.

Con il secondo motivo il ricorrente lamentava un errore nel calcolo del danno differenziale in relazione alla confermata detrazione dal risarcimento di tutte le somme indennizzate da INAIL, in quanto operata senza alcuna distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale e in spregio al consolidato principio secondo il quale tale sottrazione può avvenire solo tra poste omogenee.

Gli Ermellini, in primo luogo, ricordano il principio affermato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 12566 del 22.05.2018 in tema di compensatio lucri cum damno, secondo cui i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale riducono il credito risarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l’indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito.

Considerata la diversità strutturale e funzionale dell’indennizzo corrisposto dall’INAIL nel caso di infortunio rispetto al risarcimento civilistico del danno da lesione della salute, il Collegio ha ritenuto che per calcolare il danno differenziale non possa ritenersi coerente al predetto principio il criterio, utilizzato dal Giudice di prime cure, che prevede di sottrarre per intero l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio che sia stato calcolato “a monte”.

Richiamandosi ad un recente orientamento giurisprudenziale, la Cassazione ritiene che vada applicato il criterio “per poste identiche” e non il criterio “per poste omogenee”. Pertanto, per calcolare il danno differenziale si dovrà sottrarre l’indennizzo INAIL dal credito risarcitorio solo quando l’uno e l’altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici (v. Cass. Sez. 3 n. 26117 del 27.09.2021).

A questo punto, la Suprema Corte si sofferma a precisare, in modo dettagliato ed analitico, i pregiudizi di fatto indennizzati dall’Inail, indicando in che modo si debba tener conto dei relativi indennizzi al momento della liquidazione del danno differenziale.

Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Milano aveva liquidato un danno biologico da invalidità temporanea e un danno biologico da invalidità permanente, non aveva liquidato alcun danno da perdita o riduzione della capacità di lavoro e aveva liquidato un danno patrimoniale solo con riferimento alle spese mediche ed ai danni al mezzo.

Pertanto, il Collegio rappresenta che, nel caso di specie, per l’operazione di diffalco dell’indennizzo INAIL si dovrà preliminarmente distinguere la quota di indennizzo riferibile al danno patrimoniale da quella riferibile al danno biologico da invalidità permanente e, successivamente, si dovrà detrarre quest’ultima dalla sola voce del danno biologico come calcolato nel giudizio civile per invalidità permanente. Inoltre, si dovrà poi tener conto del fatto che una prima quota di indennizzo risultava già corrisposta attraverso i ratei della rendita già maturati, mentre il valore della rendita non ancora erogata andrà capitalizzata alla data della decisione.

In conclusione, la Suprema Corte ritiene che il Giudice di Merito, per compiere tale operazione, debba essere portato a conoscenza di quali poste dell’indennizzo INAIL siano riferite al danno patrimoniale e quali al danno biologico.

Sul punto, la Cassazione osserva che, sebbene la contestazione dell’appellante sul punto risultasse generica e la documentazione acquisita non esaustiva, la Corte d’appello di Milano avrebbe ben potuto richiedere informazioni all’INAIL, ex art. 213 c.p.c., circa il valore capitale della rendita corrisposta, distinta la parte patrimoniale da quella non patrimoniale. Nel caso in cui la Corte avesse ritenuto di non esercitare tale potere d’ufficio, avrebbe dovuto motivare tale decisione.

Pertanto, il Collegio ha cassato la sentenza d’appello in relazione a tale motivo e ha rinviato la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

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