Cass. Civ., Sez. III, ord. del 24.10.2024, n. 27579

La Corte di Cassazione torna a chiarire il riparto dell’onere probatorio nell’ambito di un giudizio di responsabilità medica avente ad oggetto una fattispecie antecedente rispetto all’entrata in vigore della legge Gelli e, quindi, non rientrante nel regime introdotto dalla stessa.

I ricorrenti, per quanto di interesse, lamentano che la Corte d’Appello, la quale aveva confermato la statuizione di primo grado, avrebbe erroneamente fatto discendere l’accertamento della responsabilità dei convenuti dalle riscontrate carenze della cartella clinica, omettendo di considerare che, all’esito dei tre accertamenti tecnici espletati, era stato escluso dai CTU “il raggiungimento della prova del nesso di causalità materiale e giuridica a carico dell’attore” ed era stata ritenuta sussistente “la prova della correttezza della prestazione resa e dell’inevitabilità della complicanza verificatasi”.

La Suprema Corte, sottolineando che alla fattispecie in esame non è applicabile il nuovo regime introdotto dalla legge n. 24/2017, ricorda che per consolidato orientamento giurisprudenziale il regime probatorio applicabile nel caso di specie si articola nel senso che è onere dell’attore/danneggiato dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l’esistenza del nesso causale materiale. Pertanto, l’attore è tenuto a provare che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato, mentre incombe sul convenuto l’onere di dimostrare che la prestazione è stata adempiuta correttamente o, alternativamente, che l’impossibilità della prestazione è derivante da causa a lui non imputabile (Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. 23/10/2018, n. 26700; Cass. 24/05/2019, n. 14335).

Gli Ermellini evidenziano che, ove il paziente faccia valere la responsabilità della struttura sanitaria e del medico per danni conseguenti ad un intervento ritenuto eseguito in spregio alle leges artis, il danneggiato ha l’onere di provare, anche attraverso presunzioni, il nesso causale materiale intercorrente tra la condotta illecita e l’evento dannoso, consistente nella lesione del bene salute e nelle lesioni ad essa correlate. Ove l’attore abbia soddisfatto il proprio onere probatorio, resta a carico dei convenuti provare di aver eseguito la prestazione con la diligenza, prudenza e perizia richiesta nel caso concreto o, in alternativa, che l’inadempimento o l’inesatto adempimento è derivato da cause a loro non imputabili che hanno comportato l’impossibilità di eseguire esattamente la prestazione. (Cass. 26/11/2020, n. 26907; Cass. 29/03/2022, n. 10050; Cass. 17/07/2023, n. 20707).

Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i summenzionati principi di diritto ritenendo che l’attore avesse assolto il proprio onere probatorio mediante la produzione della documentazione medica comprovante la fonte del suo credito e il nesso di causalità materiale.

Infatti, la Corte territoriale non aveva dato rilievo, ai fini della prova del nesso causale materiale, alla circostanza che i consulenti avessero qualificato le conseguenze derivate dall’intervento alla stregua di complicanze, atteso che il carattere, evitabile o no, della complicanza attiene alla prova della correttezza dell’adempimento o, in alternativa, a quella della causa non imputabile.

Accertata la sussistenza del nesso causale, la Corte di merito aveva ritenuto non assolto l’onere probatorio incombente sui convenuti, non avendo gli stessi fornito la prova della diligente, prudente e perita esecuzione della prestazione professionale, né, in alternativa, la prova dell’impossibilità di eseguirla esattamente per causa ad essi non imputabile. Inoltre, risultava non provato il carattere inevitabile delle complicanze mancando, tra l’altro, anche la dimostrazione di una corretta gestione post-operatoria.

In conclusione, la Cassazione ha ritenuto il motivo di gravame inammissibile in quanto, da un lato, la Corte territoriale aveva condotto l’accertamento di merito nel pieno rispetto dei consolidati principi di diritto in ordine al regime di riparto dell’onere probatorio e, dall’altro, in considerazione del fatto che il predetto accertamento era stato debitamente e coerentemente motivato da parte della Corte di merito.

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